«Entro la fine del secolo la geografia del vino potrebbe mutare. Le cause sono i cambiamenti climatici, le temperature e alcuni eventi atmosferici anomali sempre più frequenti. Se n’è discusso in una delle aule del polo universitario di Asti, nel corso del convegno, organizzato dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, dal titolo I cambiamenti climatici e la coltivazione della vite». Lo si legge in una nota stampa ufficiale diramata dal Consorzio il 30 giugno 2018, e che riportiamo integralmente. «Un confronto tra esperti autorevoli. Ognuno, sulla base della propria esperienza professionale e del proprio percorso accademico, ha illustrato – spiega il comunicato – i cambiamenti in atto, analizzandone le possibili conseguenze. Sono state messe in risalto le criticità che i vitivinicoltori stanno già affrontando nel Monferrato e nei territori vitati limitrofi, che stanno determinando ripercussioni sul regolare andamento vegetativo e produttivo delle colture agrarie». “Occorre ripensare le tecniche colturali – ha affermato il presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, Filippo Mobrici – per questo abbiamo deciso di organizzare questo incontro tra esperti, uno dei primi mai realizzati nel nostro territorio. Intendiamo fare il punto sui cambiamenti climatici in atto, poiché la situazione è delicata: o spostiamo le nostre viti o ci adeguiamo. Il ricorso all’irrigazione, non solo quella prevista in casi di emergenza, potrebbe divenire fondamentale non solo per il futuro della viticoltura in Piemonte, ma anche per poter mantenere gli standard qualitativi”.
«Nel corso del convegno, ha preso la parola – citiamo sempre testualmente – il coordinatore Sezione Agrometeorologia, Settore Fitosanitario della Regione Piemonte Federico Spanna, che ha fatto emergere i riflessi dei cambiamenti climatici sul nostro territorio che» – ha osservato – “sta assistendo al susseguirsi di eventi atmosferici anomali ed estremi, che determinano situazioni di stress per le coltivazioni e problemi nella gestione delle tecniche colturali”. “Allo scopo di minimizzare gli effetti negativi delle anomalie climatiche – ha aggiunto – sarebbe opportuno pianificare una serie di azioni di adattamento e predisporre strumenti operativi per far fronte alle emergenze”. «Nel caso specifico, nel corso dell’ultima stagione vegetativa – sottolinea la nota stampa – ha assunto grande rilievo il problema della gestione idrica delle colture ed i grossi problemi che la carenza idrica può determinare sul risultato produttivo anche di una coltura come la vite».
«Nel suo intervento, il professore associato di Fisiologia vegetale dell’Università di Torino, Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari, Claudio Lovisolo, ha affrontato – fa presente il comunicato ufficiale – gli adattamenti fisiologici della vite, al cambiamento climatico. Ha descritto le principali risposte della vite all’incremento di temperatura e ai cicli prolungati di deficit idrico del suolo. Nella sua relazione ha fatto emergere alcune valutazioni sui possibili limiti ai processi di crescita delle viti e di maturazione dell’uva e sulle opportunità di ottimizzare la qualità delle produzioni mediante variazioni della tecnica colturale». “È importante quindi riflettere – ha aggiunto Lovisolo – su quanto successo e programmare ora interventi normativi e tecnico-scientifici di adattamento in modo da non trovarsi impreparati qualora tale anomalia climatica dovesse riproporsi nelle prossime stagioni”. “Sotto il profilo normativo, esiste un prima ed un dopo il Testo Unico del 2016 per parlare di irrigazione del vigneto” ha spiegato il professore associato di Fondamenti del Diritto europeo, Università Scienze Gastronomiche di Pollenzo Michele Antonio Fino. “Nel testo unico, infatti – ha proseguito – è stato esplicitamente scritto che l’irrigazione di soccorso, vale a dire quella decisa per salvare il vigneto e la produzione in anni di eccezionale siccità, non rappresenta una forma di forzatura. La messa a punto è stata fondamentale perché in Italia, tradizionalmente, è sempre stato difficile distinguere l’irrigazione come pratica agronomica legata alla viticoltura, destinata a garantire quantità e qualità della produzione”. In realtà, secondo Fino, «in Italia esistono situazioni fortemente diversificate e se l’irrigazione è ampiamente utilizzata in Alto Adige come in Valle d’Aosta, essa rimane un tabù in Piemonte».
«Si è discusso – prosegue la nota stampa – di sostenibilità e caratterizzazione della viticoltura e nuove frontiere dell’agroecologia, con l’agronomo e saggista siciliano, Guido Bissanti. I cambiamenti climatici sono l’effetto di un modello agricolo (e quindi anche viticolo) errato, o sono anche la causa che condurrà a nuove riflessioni e quindi ad un ripensamento dei processi produttivi? Come può la viticoltura inserirsi in questo nuovo scenario e quali sono i processi ed i percorsi da intraprendere? I due interrogativi, che ha posto Bissanti, stanno coinvolgendo oggi l’intera viticoltura mondiale e, l’Italia, vista la sua importanza, dovrà adattarsi sempre più alle nuove sfide che riguardano le disponibilità idriche, la qualità delle acque e le tecniche di una conduzione più rispettosa dell’ecosistema. In Sicilia, ad esempio, la viticoltura ha subito negli ultimi decenni grandi trasformazioni e innovazioni e ora si trova a fare i conti con i processi di desertificazione. L’incontro si è concluso con l’intervento dell’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Giorgio Ferrero che ha ribadito l’importanza e la necessità di un incontro dedicato a un tema che oggi e sempre più negli anni a venire sarà fondamentale». “Quello dei cambiamenti climatici – ha detto Ferrero – è infatti un fenomeno da approfondire e trattare sotto un ampio raggio di aspetti e competenze da quelle agronomiche a quelle legislative, da quelle sociali a quelle economiche. In merito alla questione dell’irrigamento, in un territorio collinare come quello di Langhe e Monferrato, la realizzazione di nuovi sistemi irrigui richiederà un ingente impegno economico per la creazione, la gestione e la regolamentazione degli stessi. È dunque necessario ponderare sia quale sarà il rapporto tra i costi e i benefici, sia la direzione che la viticoltura Piemontese vorrà intraprendere. Una direzione che dovrà essere in linea con i valori del territorio e la necessità di preservarlo”.