«Il 2017 è stato un anno da dimenticare per il mais, con la siccità che causato elevato e continuo stress idrico e termico per la coltura, determinando rese inferiori del 6,7% rispetto alla media degli ultimi 5 anni, anch’essa caratterizzata da un trend negativo, con un calo produttivo davvero preoccupante, sia in termini di rese (-2,5 milioni di tonnellate) che di superfici coltivate (-300.000 ha circa). Per favorire il rilancio del mais italiano (strategico per la zootecnia italiana e per la salvaguardia dei prodotti “made in Italy”), il CREA Cerealicoltura e Colture Industriali (con la sede di Bergamo, storicamente vocata allo studio del mais) ha coordinato il progetto triennale “Rete Qualità Cereali plus – RQC+- MAIS”, svolto in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università Cattolica di Piacenza e finanziato dal Mipaaf, i cui risultati finali, vengono presentati oggi presso la Sala Cavour del MiPAAF». Lo si legge in una nota stampa ufficiale diramata dal Crea il 24 maggio 2018, e che riportiamo integralmente.
«Sono state messe in campo – spiega la nota stampa – attività di ricerca e sperimentazione volte a trovare soluzioni urgenti alle criticità che spaziano dal controllo degli stress biotici e abiotici, all’implementazione delle rese e redditività della coltura, alla scelta varietale, al ripristino dell’auto-approvvigionamento nazionale, alla valorizzazione della qualità, alla fruibilità dei risultati della ricerca e sperimentazione a favore della filiera». Ma “prerequisito indispensabile per la valorizzazione della filiera maidicola – spiega Carlotta Balconi, ricercatore CREA e coordinatore del progetto – è la sicurezza delle produzioni sotto il profilo igienico-sanitario, con particolare attenzione alla contaminazione da micotossine, noto fattore di rischio, in grado di provocare forti effetti negativi sulla salute dell’uomo e degli animali e di persistere lungo le catene alimentari. Si tratta – conclude la studiosa – di una problematica ormai riconosciuta a livello internazionale come prioritaria, sia in ambito scientifico che legislativo, a causa dell’elevata diffusione e tossicità delle micotossine, del numero crescente di derrate alimentari riconosciuto passibile di contaminazione, dell’impatto sanitario, economico, commerciale”.
«Fondamentale, in tal senso, la rete di monitoraggio mais, attivata – precisa il comunicato – nell’ambito di questo progetto e coordinata da Sabrina Locatelli, ricercatore CREA, che si articola in: Osservatorio territoriale della qualità del mais: coinvolge 40-50 centri di lavorazione e stoccaggio delle regioni italiane vocate alla produzione maidicola (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna). Permette la valutazione dell’incidenza delle principali micotossine in mais nelle produzioni aziendali e nelle partite commerciali di mais; monitoraggio delle caratteristiche qualitative e igienico-sanitarie del mais in campioni di ibridi di diverse classi FAO, provenienti dalla Rete nazionale di confronto varietale; monitoraggio di campioni di mais derivati da lotti di mais d’importazione».
«Complessivamente, i dati del monitoraggio – conclude il comunicato – confermano che la granella di mais è frequentemente contaminata da fumonisine, in quantità variabile a seconda dell’andamento climatico stagionale. In annate particolarmente calde e siccitose, come ad esempio il 2015, si aggiungono le aflatossine, mentre nelle annate molto fresche e piovose, come il 2014, compaiono il DON e lo ZEA. La strategia migliore resta quindi la prevenzione, attuata mediante l’utilizzo di buone pratiche agronomiche e di condizioni ottimali per lo stoccaggio. In questo contesto, rimane comunque fondamentale l’attività di monitoraggio delle produzioni, che consente di verificare il livello di contaminazione nelle diverse annate ed eventualmente rivelare la presenza di nuove micotossine emergenti».